25. Cappella cimiteriale di San Maurizio (Castelnuovo di Ceva – CN)

La cappella sorge nei pressi dell’antico castrum. In assenza di studi particolareggiati non è possibile ricostruire l’evoluzione delle fasi costruttive. Resti di sculture romaniche, riutilizzate alla base dell’arco trionfale e nell’acquasantiera e tracce di antichi muri, testimoniano l’esistenza nell’area di un edificio religioso coevo al castrum. A differenza della maggior parte dei casi, l’originaria costruzione non sembra, però, corrispondere all’abside dell’attuale edificio. E’ più probabile che sia stata costruita nel corso del XV secolo, sui resti della vecchia cappella, contemporaneamente alla nascita del nuovo abitato con funzione di chiesa parrocchiale.
All’interno, le pareti laterali bianche indirizzano la vista verso il fondo, caratterizzato dalla vivace colorazione degli affreschi quattrocenteschi dell’abside. Alla base dei costoloni che la sorreggono sono murate teste rozzamente scolpite. Si tratta di un esempio di teste “apotropaiche” che alcuni fanno risalire ad antichi riti celto-liguri. Spesso queste sculture sono riutilizzate agli estremi di uno spazio pubblico, ad esempio un porticato antistante una cappella, o rituale, come nel caso del presbiterio di Castelnuovo, con fini di protezione dell’area.
Gli affreschi dell’abside, datati 1459, ma non firmati, rappresentano un bell’esempio della piena maturità della scuola monregalese, oggi attribuiti, almeno in parte, a Segurano Cigna (74).
Gli affreschi del lato sinistro, oggetto nel 2015 di una ripresa del restauro degli anni ‘80, sono dedicati alla storia della legione tebea e mettono bene in evidenza la precisione del tratto e l’attenzione al dettaglio, ma anche una certa ingenuità nella pittura dei personaggi: insieme di aspetti che caratterizzano molte espressioni della scuola monregalese. La legione tebea, secondo la leggenda, faceva parte dell’esercito romano, ma era composta da militi di fede cristiana che si rifiutarono di combattere contro i cristiani in Gallia. Avendo disobbedito agli ordini dell’imperatore, vennero passati per le armi. I soldati tebei che ricevono la benedizione o aspettano pazientemente il loro turno per essere decapitati, sono rappresentati ritti sui loro piedi aguzzi, quasi come marionette. Particolarmente interessante è lo strumento con cui sono uccisi: si tratta di una rudimentale ghigliottina azionata dal boia con una pesante mazza di legno. Uno strumento simile pare sia stato utilizzato in Irlanda, come testimoniato da una stampa del 1307 conservata al British Museum di Londra. Altrettanto ricercata e serena è la rappresentazione del san Maurizio a cavallo e di san Michele che pesa le anime della parete di fondo dell’abside. Evidente è il contrasto con la Crocefissione della lunetta, caratterizzata da una estrema essenzialità, dalla espressione dura del volto della Madonna e dalla
rigorosa geometria del muro a bugnato, scelta già presente nelle prime opere di Antonio da Monteregale.
Pregevoli sono anche gli affreschi della volta: nelle vele sono rappresentati i quattro evangelisti, ognuno accompagnato da un dottore della chiesa. Colpisce la complessità dei disegni dei loro troni e leggii, in particolare l’attenzione nel delineare le venature del legno e le decorazioni nella vela con san Matteo e sant’Agostino. Interessante, anche, lo scaffale dietro i santi Luca e Gerolamo; tra i libri si apre una finestrella che inquadra un paesaggio, invenzione tipica di opere fiamminghe o provenzali. Nella lunetta in alto della parete destra dell’abside, una natività e una Annunciazione ai pastori compongono un quadretto agreste; certamente non rappresenta un paesaggio della Palestina, ma un territorio caratterizzato da dolci rilievi, parzialmente coperti da alberi tra i quali pascola un gregge di pecore sorvegliato da una coppia di pastori. Ancora una volta ci si trova di fronte alla scelta di contestualizzare le vicende affrescate in quella che era l’esperienza
dei contemporanei, anziché nel loro contesto storico. Particolare interessante è la raffigurazione del cane munito di un collare di ferro, a difesa dagli attacchi dei lupi. Uno strumento così concepito è stato ritrovato in scavi archeologici nell’entroterra ligure di ponente.
L’omaggio dei Magi, contenuto nei due riquadri inferiori disposti ai lati
della finestra fa, invece, riferimento a rappresentazioni classiche del periodo. Sulla parete in basso a destra dell’altare è presente un affresco della Sacra Sindone. Risale al 1706 quando, all’interno di uno scontro politico e militare che coinvolse le maggiori potenze europee, la casa Savoia ruppe l’alleanza con i Francesi per schierarsi con gli Asburgo di Spagna. La Francia inviò immediatamente il suo esercito ad assediare Torino e ai membri della casa Savoia vennero dati tre giorni di tempo per lasciare la città. I componenti della corte decisero di rifugiarsi a Genova, città che doveva essere raggiunta via mare partendo da
Albenga, portando con sé la Sacra Sindone. Nelle principali località attraversate dal corteo reale furono realizzati affreschi destinati a ricordare il passaggiodella preziosa reliquia. Giunti a Ceva, però, sorsero dubbi sull’opportunità di dirigersi all’imbarco di Albenga dal momento che questo richiedeva l’attraversamento del territorio del marchesato di Finale. Anche se il marchesato era controllato dagli Spagnoli, nuovi alleati dei Savoia, forse la scelta non offriva sufficienti garanzie di sicurezza. Venne quindi deciso un cambiamento e quale porto di imbarco fu scelto quello di Oneglia, raggiungibile lungo un percorso interamente controllato dai Savoia.
Anche in occasione del ritorno avvenuto nel settembre dello stesso anno
il percorso via mare fu interrotto a Savona per lo scatenarsi di una tempesta. Torino fu raggiunta via terra lungo la valle della Bormida di Spigno. L’affresco rappresenta quindi, per Castelnuovo, l’occasione mancata per una avvenimento che avrebbe certamente lasciato un forte ricordo nei suoi abitanti.

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